Critica

MARIO GRASSO
QUANDO PRIVARE ACCRESCE
Nel vocabolario di Nicolò Montalto "volto" si legge maschera, il gesto è ritmo, ed è una regola quella abolizione delle mani. Qualche bizzarra eccezione non fa che confermarlo. Per il resto - e il riferimento punta ai personaggi in serie - c'è da indagare tra preti, scolari, gigolò - manichini puntualmente svitati, che affidano a uno scarto di fianchi appena percettibile a un moncherino alzato, a una dissonanza cromatica, a vistose file di bottoni su una tonaca, a un copricapo a ventaglio e a centottanta gradi, la loro pretesa istantanea di identità. Questo è il discorso iniziale, quello che viene proposto al lettore, prima che questi scommetta a favore di una celata allegoria o per un significato tutt'altro che intenzionalmente didascalico da parte del Montalto. L'alfabeto per una successiva lettura sarà da intercettare indagando dietro i segni stessi di privazione, tra i chiaroscuri e gli accattivanti azzardi prospettici. E forse con probabilità più quantificabili di successo nell'approssimazione al vero. Il lettore pretenzioso non si periterà di inseguire significati dietro le sagome maliziosamente sgorbie, specialmente dietro quelle mutile, per la privazione dei visi. Giungerà a pensare alla Morgengabe teutonica, la dote, sotto forma di pagamento da parte del marito, che simbolicamente, acquista il volto della ragazza che sposa. Ma penserà soprattutto alle suggestive proporzioni di Max Picard, a proposito del volto destinato a restare invisibile a chi lo porta: noi vediamo i volti degli altri direttamente. Il nostro possiamo vederlo solo indirettamente, riflesso dallo specchio o stampato sulla carta d'una fotografia. Il volto dunque come parte del corpo destinata all'appropriazione di altri. Così è per le mani, attributi di potenza e dominio, cangianti per gestualità d'un pugno chiuso, pollice verso, palmo aperto, indice puntato, e così seguitando, in onore a tutta una ritualità, che non aspettava certo noi per essere evocata. E Montalto? Sarebbe pretesa incauta chiedere all'artista chiose adattabili alle sue rappresentazioni. Scoprirebbe il fianco chi azzardasse attribuzioni di significati definitivi alle proprie spontanee gestualità o calligrafie. In fondo non è che nella disinibita rappresentazione d'un proprio mondo sincero che, probabilmente, Montalto gioca la sua partita di confronto. E rischia di vincere, anche perché non è uno dei Mille (Garibaldi non può esserne colpevole, lo ricordiamo spesso, se carismi e presunzioni, in Sicilia vanno a mille, da quella volta dello sbarco a Marsala). Montalto tenta altro nel senso di affidarsi a un suo autonomo e abbastanza forte istinto, che poi viene ad avvantaggiarsi con le malizie della Scuola d'Arte, con l'esperienza degli anni romani e milanesi, con i confronti, non sempre gratificanti, nell'ambito della provincia etnea, ove è nato ed è tornato a lavorare.
DISSOLVENZE DEL QUOTIDIANO.
Ricalca la grande scuola del Novecento la variegata produzione di Nicolò Montalto, artista che, all'affabulazione del metropolitano, unisce l'essenzialità dei cromatismi, che nascondono una introspezione di notevole caratura.
L'esperienza artistica maturata all'Accademia di Belle Arti, gli ha infatti consentito, negli anni, di produrre una variegata rosa di performances ed esposizioni che ne hanno confermato la tendenza ad una visione originale quanto critica del reale.
La pittura di Montalto è tutta qui: silhouettes, o meglio dissolvenze del quotidiano, personaggi nei quali l'assenza di lineamenti non pregiudica l'espressività, suprema sintesi che manifesta gli emblemata d'un pensiero enigmatico quanto provocatorio.
Riflessioni sulla realtà, evolute fino a sublimare in una sorta di metafisica del colore che - nel ricalcare tematiche care all'artista, figure di ecclesiastici, od evanescenti forme muliebri incastonate in interni solo accennati - identifica la trama narrativa del pittore.
Il quale, sulla tela, eterna il ricordo di una felice giovinezza, di suoni d'un passato dolce, mai dimenticato, di sguardi e sorrisi che nascondono pulsioni ìnconfessate, elementi di una vita che rimangono a formare l'impalcatura somatica della psiche, dell'Id nascosto dell'artista.
Non rimane, al visitatore, che scandagliare - attraverso il percorso delineato dal corpus di queste opere - per improvvisamente scoprire anche dentro di sé le analogie del sentire, sentiero esistenziale, solcato dal vento lieve della poesia.
OLTRE IL MONDO DELLA NATURA SENSIBILE .
E' stato detto e scritto che l'opera pittorica di Montalto è metafisica, termine che nel senso etimologico, metà tà physikà, indica le realtà che stanno oltre il mondo della natura sensibile, è quindi ciò che va oltre il fisico, e dura perché va oltre il mutevole del divenire, anche se lo sottende e l'accompagna necessariamente.
In campo artistico, questo giudizio di pittura metafisica fa subito pensare all'opera di De Chirico o di Carrà e di quant'altri artisti sono stati classificati secondo questa cosiddetta corrente.
Ma tali affermazioni potrebbero diventare fuorvianti ai fini della fruizione estetica dell'opera pittorica del Montalto.
Infatti, qui la forma mira sì a riprodurre strutture essenziali, però è avvolta dal fascino del colore, per lo più il carminio, in un'eleganza formale di linee sinuose, a rappresentare silhouettes corporee, che si sposano col caldo dei volumi cromatici, in una originale sintesi, da costituire un unicum.
Qual è il messaggio culturale ed etico che possiamo intuire dall'opera artistica dell'A.?
Volti senza occhi, braccia a moncherini, senza mani, rendono efficacemente l'ottundimento dell'intelligenza, di cui gli occhi dovrebbero essere espressione, proprio della società attuale, pur nell'esplosione della ragione e della tecnica; come anche l'assenza delle mani, simbolo di ogni operosità, allude alla mancanza di senso e significato di tutto il frenetico attivismo contemporaneo!
Ma il colore, l'eleganza delle linee che denotano i corpi, per lo più muliebri, con cappellini, monili e altri ornamenti, l'armonia degli ambienti architettonici, comunicano sensazioni stupende, quasi a redenzione di quella mancanza tragica di senso.
I quadri del pittore Montalto mi fanno pensare ai due lati estremi della realtà vivente: il male e la bellezza. «Il male l'abbiamo ben presente, scrive Francois Cheng in Le cinque lezioni sulla bellezza, soprattutto quello che l'uomo infligge ai propri simili. E' questo un mistero che non cessa di tormentare la nostra coscienza. Anche la bellezza sappiamo cos'è. Per quanto poco vi si presti attenzione, essa non manca tuttavia di suscitare il nostro stupore... resta un enigma».
Ma alla fine è pur vero che «la bellezza salverà il mondo», secondo la celebre espressione del principe Myskin nell’Idiota di Dostoevskij.
L'arte mantiene così l'antica funzione catartica e purificatrice! Occorre, però, educarsi al gusto della bellezza artistica, per fruire degli effetti liberanti di essa, a cominciare anche dalla visione di queste affascinanti figure dell'artista Montalto!
DOVE LA VITA SEMBRA POSSIBILE .
La produzione artistica
di Montalto segue un percorso che sembra segnato dall'incontro con De Chirico e la Pittura Metafisica. Eppure l'Autore è ben consapevole di quanto sottile sia il tracciato di quel percorso e di quanto l'incamminarsi su quella strada con i propri pennelli ne abbia fatto qualcosa di diverso.
Lo spazio pittorico, pertanto, appartiene ancora al mondo oltre quello della natura sensibile, con scorci architettonici e interni sedimentati e colti nella loro essenzialità formale sino a diventare, in alcuni casi, semplici fasce di colore puro. Le prospettive sono geometricamente plausibili eppure già oltre la soglia del veritiero.
Ma Montalto è pure guidato dalle leggi della pura visibilità, prima fra tutte quella della composizione euritmica. Alto è l'interesse per gli assetti geometrici, per la forma intesa come coerente definizione plastica delle cose, per la solidità e la monumentalità come indice di armonia e stabilità. In altri dipinti compaiono invece due soli piani, segnati spesso da uno stacco di colore, che sono ora orizzonte, ora strada, ora palazzo, ora parete: più tipi di spazialità conviventi in uno spazio unitario.
La sua distanza - che è soprattutto conoscenza - dai Maestri appresi anche alla Scuola D'Arte, si coglie nell'utilizzo della luce che non c'è. Quando è rappresentato, un disco solare o lunare riempie un ciclo monocromo e produce effetti. Ma proprio quando non viene raffigurata la fonte luminosa, Montalto palesa la precisa volontà di usare la luce come elemento centrale della raffigurazione e sa regalarci uno splendido esempio di pittura in cui il colore è l'elemento principale che determina il volume e la scansione dello spazio.
I corpi, flessuosi e raramente statici, sono anch'essi pieno di colore, non sostenuto da una linea di contorno. Il rapporto con quanto li circonda, che spesso nè determina la posa, non ha filtri.
I volti vuoti ridotti a semplici ovali, talvolta accessoriati di chioma o cappello, sono tipi umani per i quali la vita sembra possibile.
Montalto partecipa della tensione verso la verità quotidiana, propria di tutta la cultura figurativa occidentale e rievoca l'umanità da una dimensione che sta tra il ricordo e l'osservazione acuta del presente. Questa esistenza vince il tempo che più non scorre: la vita è sempre e oltre il divenire muta in poesia.